Buona Pasqua a distesa

 

Buona Pasqua a distesa





«Buona Pasqua a distesa»: con questo slogan, riportato su una pubblicità che occupava un’intera pagina del quotidiano L’Arena di Verona, domenica 3 aprile 1983 la Bauli, nota industria dolciaria scaligera, aveva deciso di fare gli auguri di Pasqua ai propri clienti all’insegna della «veronesità». Rendendo così protagoniste, per un giorno, «le più belle campane nate a Verona», come si legge nell’inserzione pubblicitaria, «che hanno rintoccato giorni felici, eventi storici, momenti belli, tutti veronesi». Nella pagina del quotidiano, quindi, furono riprodotti i disegni delle più celebri campane di città e provincia, con tanto di accurata didascalia che ne raccontava la storia. Quell’inserzione pubblicitaria, a distanza di 39 anni, è diventata anch’essa un documento importante. Infatti i suoi autori trassero ispirazione da un’esposizione di campane organizzata nell’estate 1979 al museo di Castelvecchio dal Comune di Verona, durante l’Estate teatrale veronese. E proprio nel giorno in cui le campane "danno il meglio di loro", dopo aver rotto il silenzio durato dal Giovedì Santo al Sabato Santo, durante il quale le funi nei campanili sono state tra loro annodate per impedire l’utilizzo dei sacri bronzi, è giusto riflettere su un’arte, quella legata alla produzione di campane, che ha caratterizzato Verona e quest’angolo di Veneto per più di un millennio.

Le funi delle campane di un campanile legate tra loro per impedire che vengano suonate dal Giovedì Santo al Sabato Santo 


Dieci secoli di campane in mostra





Ad oggi l’esposizione «Fonditori di campane a Verona dall’XI al XX secolo», organizzata nel ‘79 da Lanfranco Franzoni e Licisco Magagnato, non ha avuto eguali nella città scaligera, sia per la qualità di materiale che venne messo a disposizione del pubblico, che per l’accurato catalogo che accompagnò tale iniziativa. Tanto che le notizie storiche riportate sul testo, corredato di fotografie in bianco e nero delle campane esposte, costituiscono tuttora una valida base di partenza per gli approfondimenti sulle fonderie che hanno operato in Verona dall’anno Mille al 1974. Del resto, lo spunto per l’allestimento dell’esposizione venne fornito ai suoi organizzatori da un evento «epocale» per la città. Ovvero la chiusura, avvenuta quasi cinquant’anni fa, dell’ultima officina in grado di fondere sacri bronzi a Verona: quella dei Cavadini di via XX Settembre. La fine della secolare «Fonderia Vescovile di Campane Luigi Cavadini e Figlio», attiva dal 1794 al 1974, fu quindi la molla che ispirò l’esposizione di Castelvecchio, come testimonia lo stesso Franzoni nell’introduzione del catalogo dell’esposizione. «La circostanza», scrive l’autore, «che, fin dal 1972, colla cessazione della Ditta Cavadini (anche se la chiusura ufficiale avvenne due anni dopo, ndr), sia giunta all’epilogo un’arte, qual è la fonderia di campane, unitamente al fatto che tale produzione non è mai stata oggetto di una ricerca sistematica, sono i motivi sufficienti e determinanti che ci hanno spinto ad affrontare il tema delle fonderie di campane, visto nei personaggi che in successivi periodi sono stati operosi a Verona».


Una schiera di artisti


La pagina del catalogo della mostra
con la campana del 1081



Il catalogo, le cui immagini sono state poi riprese quattro anni più tardi dalla pubblicità della Bauli, ripercorre così, dall’anno Mille in poi, le principali campane ed i loro geniali artefici che hanno permesso a questo specifico settore dell’arte sacra e fusoria di prosperare per un millennio sulle rive dell’Adige. Ad aprire la serie dei sacri bronzi «celebri» non poteva che esserci la campana dalla curiosa forma di cappello, fabbricata da un fonditore rimasto ignoto nel lontanissimo 1081. La scheda del catalogo, curata da Giulio Sancassani, ci informa che tale campana, oggi conservata proprio nel Museo di Castelvecchio, in origine si credette fosse destinata al monastero di Santa Maria delle Vergini in Campo Marzio, dove si trovava il bronzo prima della soppressione napoleonica di tale chiesa ed il conseguente passaggio di proprietà dell’opera d’arte al Vescovado. Lo storico Biancolini, tuttavia, ipotizzò che la sede originaria della campana fosse in un altro monastero, quello di San Massimo, e che solo successivamente, attraverso una suora benedettina, il sacro bronzo fosse spostato in quello di Santa Maria delle Vergini. Dopo il passaggio del Veneto al Regno d’Italia, puntualizza Sancassani nella sua scheda, Luigi di Canossa, vescovo di Verona, depositò la curiosa campana al Civico Museo, che allora aveva sede a Porta Vittoria. Da qui passò poi al rinnovato Museo civico di Castelvecchio. Sancassani riporta anche l’iscrizione che compare su detta campana: «VOX DOMINI/ANNO MLXXXI HOC MONASTERIVM INCEPTVM EST» che, secondo la traduzione dello studioso, significa: «Voce del Signore, questo monastero venne incominciato l’anno 1081».


La campana del Gardello


La campana del 1370 oggi in mostra
al Museo di Castelvecchio 



L’esposizione del ‘79 fece luce su un’altra campana, che si può ammirare sempre a Castelvecchio, nel cortile del Museo. Tale bronzo, di notevoli dimensioni, venne fuso dal maestro Jacopo nel 1370 e sulla sua superficie riporta le insegne di Cansignorio Della Scala, Signore di Verona Vicenza. La «Torre delle Ore» o «del Gardello», secondo la ricostruzione fatta dal solito Sancassani, venne realizzata proprio in quell’anno ed il riferimento alle «ore» deriva dal fatto che al di sotto della cella campanaria venne installato un orologio. Maestro Jacopo, probabilmente di origine veronese, quattro anni prima fuse una campana per San Pietro in Mavino di Sirmione (Brescia). Dopo quella del Gardello, invece, lo stesso fonditore realizzerà una campana per la torre di Borghetto sul Mincio, frazione di Valeggio, che si trova ancora in loco. Sul destino della campana del Gardello, Sancassani rivela che, una volta caduta la Repubblica Veneta, nel periodo del Regno d’Italia napoleonico il bronzo venne tolto dalla sua collocazione originaria e, da parte del Demanio, ne fu disposta la vendita. A «salvare» la campana da una sicura distruzione intervennero l’abate-scrittore Giuseppe Venturi e l’ingegnere municipale Giuseppe Barbieri. Il bronzo venne quindi collocato ai piedi della scala del Palazzo del Consiglio, in piazza dei Signori. Dopo essere stata spostata al Museo civico di Porta Vittoria, la campana nel 1872 venne issata sulla torre Pentagona, accanto all’orologio dei Portoni di piazza Bra, per rintoccare le ore. Nel 1881 fu collocata «in pensione» e venne riportata dapprima al Museo di Porta Vittoria, quindi, nel 1925, entrò a far parte degli oggetti artistici esposti nel nuovo istituto museale di Castelvecchio. Il sito della «Scuola campanaria Verona» (www.scuolacampanariaverona.it), a cui si rimanda per ogni approfondimento su questa ed altre campane storiche di Verona, rivela che il «campanone» di maestro Jacopo pesa ben 18 quintali.


Il calco della campana del 1370 di Maestro Jacopo
(immagine del catalogo della mostra del '79)


In piazza San Zeno


Tra le campane oggetto dell’indagine alla base della mostra di Castelvecchio del 1979 ci sono le antiche squille presenti sul campanile dell’abbazia di San Zeno. Tra l’altro questa torre è caratteristica poiché i suoi bronzi, anziché suonare con il sistema «alla veronese», che prevede il posizionamento del bronzo con la bocca rivolta verso l’alto ed il ceppo in basso, rintoccano secondo il più antico sistema «a slancio», che comporta la semplice oscillazione della campana. Se la scheda di Giulio Sancassani cita le campane più antiche di tale chiesa, tra cui, quella ancora oggi esistente dei «temporali» o «dal figar», a causa della pianta di fico che le cresceva a fianco e dalla caratteristica forma ad ottagono irregolare, è tuttavia grazie agli studi approfonditi di Matteo Padovani e Nicola Patria che si scoprono i segreti dei vari bronzi succedutisi sulla torre. La documentazione, ricca di citazioni storiche, aneddoti e di rilievi tecnici - compresa l’analisi tonale dei quattro sacri bronzi fusi tra il 1423 ed il 1755 che ancor oggi fanno udire i loro rintocchi dall’alto del campanile - è consultabile sempre sul sito www.scuolacampanariaverona.it. E proprio con il suono di alcune di queste campane in occasione di un’affollata mattina domenicale in piazza San Zeno ho voluto chiudere questa breve carrellata di Pasqua, che vuole essere uno spunto per far conoscere ulteriormente Verona e le sue campane.




Effetì


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