L'albero delle campane


 

L’ALBERO DELLE CAMPANE




   In un giardino privato, alla periferia di Padova, un albero d’ulivo cresce rigoglioso là dove un tempo si facevano campane. A Brentelle di Sotto, sobborgo della Città del Santo, a pochi passi dalla chiesa parrocchiale di Brusegana, fino a quarant’anni fa sorgeva lo stabilimento della Pontificia Fonderia Daciano Colbachini e Figli, dal quale, in sei decenni di «onorata carriera» sono uscite centinaia di campane inviate in tutte le parti del mondo.


Atmosfere d’altri tempi


  L’atmosfera suggestiva di quello stabilimento, erede di una tradizione ultracentenaria iniziata dalla famiglia Colbachini nel XVIII secolo a Bassano del Grappa (Vicenza) – la data ufficiale di fondazione della ditta è del 1745 anche se sono documentate campane di questi fonditori prima di tale anno – colpì il regista Ermanno Olmi (Bergamo 1931- Asiago 2018) che qui ambientò una parte del suo film-documentario «Artigiani Veneti», commissionato dalla Regione Veneto.

  Cinque anni dopo l’uscita del suo lungometraggio più celebre, «L’albero degli zoccoli», Olmi riuscì ad imprimere sulla pellicola voci, rumori, suoni, bagliori e tutto ciò che circonda la realizzazione di una campana. Anzi, di un concerto di campane. Come ricorda il fonditore Giovanni Aldinio Colbachini, che in quel 1983 tenne i contatti con Olmi per organizzare le riprese, il regista bergamasco volle seguire la realizzazione di un complesso campanario dall’inizio alla fine. Per questo le riprese durarono circa un mese. Seguendo dapprima la creazione dei modelli per i sacri bronzi, indugiando accuratamente sulla realizzazione della «falsa campana», ossia la copia conforme in argilla su cui vengono poste le decorazioni della futura campana realizzate in cera, destinate a sciogliersi una volta che lo stampo verrà ricoperto dal mantello ed essiccato. Ci voleva sempre la maestria di Olmi, e dei suoi collaboratori, per riportare sulla pellicola con una colonna sonora appropriata i momenti di tensione legati alla fusione. Con il bronzo sciolto nel forno a riverbero rimescolato con lunghi pali. Fino alla colata negli stampi, e al loro successivo dissotterramento dalla fossa di fusione, una volta che il metallo liquido si è solidificato.

  Il documentario, oggi proiettato ai turisti del Museo Veneto delle Campane (Muvec), allestito a Villa Fogazzaro Colbachini di Montegaldella (Vicenza), è una testimonianza eccezionale dell’attività di quello stabilimento, pervaso da fuliggine, polvere, ma anche del suono prodotto dalle spazzole metalliche sulla superficie delle campane appena liberate dal loro stampo e sottoposte a rifinitura. Un altro momento assai delicato, dopo la pulizia che faceva risplendere il colore argenteo dei bronzi, legato alla presenza dello stagno amalgamato nella lega con il rame, era la verifica della nota della campana, anche qui ripreso efficacemente da Olmi con il fonditore intento ad utilizzare il diapason.





  Il maestro bergamasco di tanti capolavori cinematografici, con il suo stile inconfondibile, incentrato sulla fedele riproduzione della realtà, anche in questo documentario è riuscito a mettere al centro della pellicola gli stessi protagonisti di quell’impresa familiare: dai fonditori Vincenzo Aldinio Colbachini (1918-2022) e il figlio Giovanni, agli operai che di quella fabbrica di campane erano l’anima. Tutto ciò viene reso sulla pelleicola senza l’utilizzo di una voce narrante ma lasciando parlare da sole le immagini e i suoni di sottofondo.

   Il regista Maurizio Zaccaro, a quel tempo collaboratore di Olmi, nel suo libro «La Scelta. L’amicizia, il cinema, gli anni con Ermanno Olmi» (Vallecchi Firenze srl, 2021) descrive bene l’approccio del regista e della troupe con la fonderia di Brentelle, definendo il set come uno dei più determinanti dell’intero film, con un Olmi affascinato e divertito nell’assistere, a fusione completata, al collaudo delle stesse campane da parte del «professor» Vincenzo.

  Correva l’anno 1983 e proprio quelle immagini, come conferma oggi lo stesso Giovanni Aldinio Colbachini, hanno immortalato e consegnato ai posteri le ultime colate bronzee nello stabilimento che si affacciava sulla vecchia «strada dei Colli».






Il laboratorio dei bronzi






              La fonderia di Brentelle qualche decennio fa (si ringrazia Giovanni Aldinio Colbachini)



  Aperta nel 1926, la fonderia di Brentelle-Brusegana venne abbattuta nel corso degli anni Ottanta, lasciando spazio a un elegante giardino su cui è cresciuto l’ulivo. Nel frattempo i Colbachini avevano spostato la produzione delle campane in uno stabilimento ampio e all’avanguardia con i tempi nella zona industriale di Saccolongo, a pochi chilometri dalla città di Padova, mantenendo tuttavia intatti i metodi tramandati di generazione in generazione fin dal 1700.

  Difatti la fonderia di Brentelle non era stata la prima ad essere costruita da questa famiglia originaria del Vicentino. Nel 1805, infatti, i fratelli Colbachini, tra cui quel Daciano dal cui nome la ditta avrebbe tratto, tramandandola fino ai nostri giorni, la ragione sociale «Daciano Colbachini e figli», aprì in via Barbarigo (all’epoca via Scalona), nel cuore di Padova, una succursale della casa-madre di Bassano.

  L’officina padovana, allestita in un ex convento di fronte all’attuale liceo «Nievo», con il passare del tempo surclassò la «madre» bassanese, divenendo l’unico centro di affari per i discendenti dei fondatori. Il veronese Luca Chiavegato, esperto suonatore di campane e ricercatore sulla storia dei sacri bronzi, in anni recenti ha sviscerato tutte le vicende e i passaggi di padre in figlio che hanno caratterizzato la Fonderia Colbachini (fino al 1866 «Colbachin») da metà Settecento ad oggi.

  Impegno e senso degli affari dei Colbachini di quell’epoca sono testimoniati da un articolo del «Monitore industriale italiano» del 31 gennaio 1882: tale rivista di settore rivelò che dal 1779 al 1875 la fonderia produsse 15.763 campane per 10.342 località diverse, sia italiane che estere. A queste se ne aggiunsero, nei sette anni successivi, coincidenti con l’assunzione della direzione del laboratorio da parte di Gaspare Colbachini, altri 1.020 bronzi per 732 centri, con la produzione che toccò le 170 campane all’anno.



La fonderia dei papi



  La crescita esponenziale di ordini e l’estensione ad altri prodotti, tra cui arredi sacri, consentì ai Colbachini di progettare e finalmente realizzare, negli anni Venti del Novecento, un nuovo stabilimento, quello di Brentelle-Brusegana appunto, ricavato sui terreni che la famgilia aveva nel sobborgo, dove sorgeva la residenza estiva dei fonditori. Nel frattempo la fonderia patavina divenne «Stabilimento pontificio», grazie alla concessione di tale titolo onorifico da parte di papa Leone XIII nel 1898. Proprio grazie a questa concessione, lo Stabilimento Colbachini è la più antica fonderia pontificia tuttora esistente in Italia.

   A partire dal 1926, dunque, dal cancello che dava sulla «strada dei Colli», ancora oggi presente sia pur seminascosto dall’edera, e in seguito dall'accesso su una via laterale, uscirono celebri campane, come quella che nel 1932 fu installata accanto al «campanone» sulla facciata della Basilica di San Pietro in Vaticano. Del 1934 è invece la campana fusa per lo stabilimento della Viscosa a Padova, oggi esposta al centro direzionale «La Cittadella», a due passi dall’incrocio della Stanga.

  Nello stabilimento alla periferia della città fu realizzato il campanone del Tempio Sacrario di «Cristo Re» a Messina, inaugurato nel 1935, che con i suoi oltre 13.000 chilogrammi di peso è la terza campana più grande d’Italia, dopo quelle di Rovereto (Trento) e Plan de Corones (Bolzano).

  Per la stessa città siciliana la fonderia, all’epoca diretta dall’ingegner Giacomo II Colbachini (1884-1968), l’impresa padovana aveva fuso, negli anni precedenti, diversi concerti di campane, definiti «grandiosi» dall’allora arcivescovo messinese monsignor Angelo Paino. Tra questi complessi vi erano quello di 24 campane per il santuario di Montalto, del peso complessivo di 11.225 chilogrammi e le otto campane che tuttora fanno sentire i loro rintocchi sul campanile della cattedrale, torre celebre per il caratteristico orologio meccanico e astronomico che la completa. Il peso totale degli otto bronzi del duomo messinese è di 16.286 chilogrammi.

  Nel laboratorio dei Colbachini, durante la seconda guerra mondiale, confluirono pure le campane requisite per ordine del Governo Mussolini allo scopo di realizzare cannoni. E a pochi passi dallo Stabilimento Colbachini, nella chiesa di Brusegana, le campane «amiche» della ditta padovana suonarono a festa, il 30 settembre 1944, per il matrimonio delle due figlie di Giacomo II, Emilietta, rimasta purtroppo vittima dei bombardamenti nel 1945, e Annamaria, rispettivamente con Gianfranco Maffei e Vincenzo Aldinio.

  Aldinio, ufficiale del Regio esercito, secondo una ricerca dello storico Paolo Pandolfi pubblicata il 9 gennaio 2019 dal «Giornale di Brescia» (https://www.giornaledibrescia.it/bassa/i-centouno-anni-del-reduce-vincenzo-aldinio-xfadkbew), negli anni in cui insegnava ginnastica all’Accademia navale di Venezia conobbe la futura moglie Annamaria. A lui toccò il compito di portare avanti la tradizione campanaria dei Colbachini. Affiancò dapprima il suocero Giacomo II e poi lo sostituì, a partire dal 1964, nella direzione della fonderia. Sempre al «professor Aldinio» toccò il compito di perpetuare la discendenza di questa stirpe di artigiani del bronzo: per volere del suocero, aggiunse per sé e per i figli al proprio cognome anche quello di Colbachini. Lo si si apprende dall’articolo che il compianto giornalista padovano Franco Holzer (1943-2020) dedicò a questa stirpe di fonditore sul «Gazzettino» del 25 luglio 1994.

  Dal secondo dopoguerra in poi il grande fabbricato di Brentelle conobbe una produzione campanaria intensa, con concerti di prestigio come le otto campane per la chiesa di Sant’Eugenio a Roma. Il suono di questi bronzi ispirò i committenti del complesso di 14 elementi fusi nell’officina padovana nel 1953, destinati alla cattedrale cattolica del Sacro Cuore di Newark, negli Stati Uniti.

  Nel 1958, invece, sempre dal grande capannone patavino uscirono le sei campane per la chiesa di Sant’Elena, a Venezia, il cui campanone emette la nota Si della seconda ottava ogni volta che viene percossa la sua massa di 1.975 chilogrammi di puro bronzo. Queste squille furono consacrate dal patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Roncalli, che nello stesso anno venne eletto pontefice con il nome di Giovanni XXIII. Il «papa buono», come divenne conosciuto il Santo Padre, venne canonizzato nel 2014 da papa Francesco assieme a Giovanni Paolo II.

  Un lavoro impegnativo per l’ingegner Giacomo II fu poi la realizzazione, nel 1962, delle otto campane della Basilica di Sant’Antonio in Padova, in scala di Do maggiore della terza ottava, con pesi variabili dai 175 chilogrammi della più piccola ai 1.681 del «campanone». Il concerto sostituì un precedente complesso, fuso sempre dai Colbachini nel 1799, costituito da sette bronzi in Si bemolle a Do.



Una fucina di opere d’arte




   Dal fonditore Giovanni Aldinio Colbachini ho potuto apprendere com’era la ripartizione interna del fabbricato principale di Brentelle-Brusegana, con i forni più piccoli, quello rotativo da nove quintali di portata e l’altro da tre quintali, collocati nella parte dello stabilimento rivolta verso la casa padronale e l’ingresso sulla strada dei Colli, dove ora c’è appunto l’albero d’ulivo.

  Allontanandosi dalla dimora dei fonditori si trovavano, ai lati del fabbricato principale, l’area per la piegatura dei metalli, l’officina e due forni a riverbero di cui il più grande aveva una portata di 100 quintali di bronzo. La zona più distante dall’abitazione dei fonditori era invece occupata dal reparto dove venivano preparate le sagome delle campane.

  Una piccola parte del capannone principale esiste ancora, anche se ha mutato destinazione d’uso, così come le pertinenze destinate a magazzino dei modelli, con tanto di pesa esterna per i bronzi, della canapa e del bronzo, ristrutturate e trasformate in abitazione e garage.

  Nel ventennio in cui la fonderia di Brentelle venne diretta da Vincenzo Aldinio Colbachini nuovi bronzi lasciarono il laboratorio: fra questi il massiccio complesso di sei campane in La crescente della seconda ottava, realizzato nel 1974 per Rosà, vicino a Bassano del Grappa (Vicenza), con la maggiore pesante 3.345 chilogrammi.

  Pure i campanari, con cui i Colbachini hanno sempre avuto un buon rapporto, erano assidui della fonderia di Brentelle. Alberto Bozzo, maestro di squadra campanaria vicentino, compositore di melodie per concerti «alla veronese», carilloneur e campanologo, ancora oggi ricorda come, giovanissimo, avesse assistito nel 1977 in prima persona ai lavori di allestimento delle forme per le campane della chiesa dei Filippini a Vicenza.

  Della produzione dello stabilimento padovano fornisce un quadro esauriente il giornalista Giovanni Lugaresi, che nella rivista «Padova e la sua provincia», in un articolo dedicato ai Colbachini riportò come nel solo 1970 dal laboratorio accanto alla chiesa di Brusegana fossero uscite 60 campane destinate a tutte le parti del mondo. In un articolo uscito sul Gazzettino del primo aprile 1977 sempre Lugaresi rivelò come nel 1953 la produzione del laboratorio avesse raggiunto addirittura le 300 campane in 12 mesi.



Uno stabilimento all’avanguardia e nuovi orizzonti




Lo stabilimento di via Mattei a Saccolongo (Padova)

   La dismissione della fabbrica alla periferia di Padova, coincise con il passaggio della direzione da Vincenzo al figlio Giovanni II. Negli anni successivi, nel nuovissimo stabilimento realizzato nel 1983 a Saccolongo (Padova) arrivarono altre commissioni prestigiose, tra cui, nel 1991, quella concernente il rinnovo del concerto del Santuario di Monte Berico, a Vicenza, comprendente la fusione di nuovi bronzi da integrare ai tre «superstiti» del complesso realizzato originariamente dai Colbachini nel 1821, quando operavano ancora nella centralissima via Barbarigo. Le rinnovate campane fecero sentire il loro squillo, eccezionalmente fatte mosse dai suonatori della scuola campanaria di San Marco di Vicenza, durante la visita del pontefice san Giovanni Paolo II alla città berica nei giorni del 7 e 8 settembre 1991.

   Fra le fusioni notevoli di quegli anni ci fu pure quella della campana «Laetitia», gettata nel 1995, che con i suoi 5.140 rappresenta la gettata più consistente realizzata dalla ditta nel dopoguerra. Tale opera, consacrata a Roma da papa Woityla, fa udire i suoi rintocchi all’ospedale «San Raffaele» di Milano.

   La diversificazione «d’impresa», agevolata dalla creazione dell’Industria veneta gomma (Ivg) nel 1966 da parte di Attilio Daciano Colbachini (1893-1982), celebre olimpionico a cui è dedicato lo stadio di atletica di Arcella (Padova) e fratello del compianto fonditore Giacomo II, ha permesso alla famiglia padovana di dedicarsi ad altre produzioni.

   Così, se dal 2006 i Colbachini non producono più campane per il mercato ordinario, complice anche il calo di richieste, riservandosi fusioni di prestigio e in serie limitata, la «Fonderia Campane Daciano Colbachini e Figli – Stabilimento Pontificio», in forma abbreviata «Stabilimento Colbachini», continua ad essere la capostipite di un fiorente gruppo industriale operante a livello internazionale nel settore dei tubi di gomma. Inoltre il legame con le campane è stato mantenuto attraverso l’apertura, nel 2002, del museo dedicato alle squille di tutte le epoche e i paesi del mondo, ossia il Muvec di Montegalda.

  Dal 1990 lo Stabilimento Colbachini è membro di «Hénokiens», associazione mondiale che raccoglie le imprese con almeno 200 anni di storia gestite sempre dai componenti del medesimo nucleo familiare.


  Effeti


  Si ringraziano per le preziose testimonianze e informazioni: Giovanni Aldinio Colbachini, Alberto Bozzo, Luca Chiavegato, Chiara Donà, Michele Merolla, Merolla Campane, Museo Veneto delle Campane.






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